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Selezione di poesia a cura di Flavio Almerighi

Poesie di Cristina Annino [1]

Quando ama non è riamato

Mai il telefono gli dice grazie; né telefono postino né
amici. Niente multipli. Nemmeno un orecchio solo, così su due
piedi, per dirci dentro grazie; piegato da far pena il labbro
leporino. Un peccato, dico io, una vera tristezza
moderna, dar via la saliva. Va bene gli intestini delle
pesanti vie di Velàsquez, caduto dalla padella negli altri
giumentini d'ombre cinesi. Né più bravi né buoni. A nulla.
Abbi cura di lui, fratello. Quando ama non è
riamato. Lui non esce di casa, evapora. Lui ha la mania
araba delle tende; la sola bocca arancio di Cibeles
fontana lo divora buio. Finisce. Io lo so: va per acqua
lungo la vita senza stop. Va per coperte sudice senza
un lenzuolo d'ombre cinesi. Lui s'accontenta di meno, nessuna
polpa dell'accademia di pittura. Come croste o medaglie.
Fin lì fin lì Madrid lo frega. Quella borghese del telefono.
Siede
più del dovuto il pensiero color turco, senza posta né
amici. Niente multipli. Avanti indietro nella stanza finché
cancella l'ossatura grigia di gambero. Nemmeno un orecchio
solo, o un piede trentasette di numero. Darebbe via la
saliva per quello. Per dire almeno grazie.
 

L’artista
 

Bene di profilo ma davanti
niente, tetramente scosso non
volendo bere perché isterico, per non
cadere a terra. Lui, Impala
unico, nel rosso che tramontava.
Aveva
trasformato violenza in arte, ma è
sciocco tutto; mette sale, non basta.
In un
lungo minuto sparge quel poco
di muscoli e ossa, se li contava. Le
vertebre soprattutto brillando
come lampade nella cenere.
Chiedeva
aiuto, ché il mondo ci dà e poi ci
toglie e non lascia niente. Un
accendino, il cuore del Prado;
l’avrebbe spezzato in due, a potere.
S’alzava
la brace a ogni passo.

 

 

 

[1] CRISTINA ANNINO, vive a Milano, la sua prima pubblicazione è del 1969; seguono altri 14 volumi. Sta uscendo con l’editore Donzelli (Roma 2015) il suo ultimo libro di poesie dal titolo Anatomie in fuga. Si occupa anche di pittura.

 

 

di Flavio Almerighi

LE COSE FUNZIONANO [1]

le trasmissioni proseguiranno
fino alle sei del mattino
con il Notturno dall'Italia.
Il vento non si abbasserà,
stanotte foglioline appuntite
secche scavalcheranno i nidi,
le donne dormiranno nude
ma non troppo,
lasciate senza amore,
passere su rami che non si sa
dove vadano a dormire
dopo l’arroganza del giorno.
Il buio profumerà di viola
galleggiando fino al soffitto
dove i sogni scoprono
la propria vertigine
nessuna protezione
ai monchi a mani giunte
ai ragazzi liberi di nessun futuro
agli inventori scarichi
del genio italico.
Qualche portiere di notte
forse, uscirà vivo

signore e signori
vi auguriamo una buona notte

[1] Terza classificata al laboratorio di poesia civile “I testimoni” tenuto da Valerio Grutt, direttore del Centro di poesia contemporanea dell’università di Bologna e da poeti Giuseppe Nibali e Patrizia Dughero

 

 

Tre poesie di Philip Larkin [1] Selezione a cura di Flavio Almerighi

 GLI ALBERI

Accenno di un discorso che ancora si ripete,
spuntano sugli alberi le foglie;
i germogli freschi s’allentano e distendono
in una verdezza simile al dolore.

Forse quelli nascono di nuovo
mentre noi invecchiamo? No, muoiono anche loro.
Il trucco annuale di apparire nuovi
è scritto in fondo a venati anelli.

Eppure si dibattono, inquieti castelli
ancora grandi e folti a ogni maggio.
Morto è l’anno passato, sembrano dire,
e s’incomincia di nuovo e daccapo ancora.

FINESTRE ALTE

Quando vedo una coppia di ragazzi
e penso che lui se la scopa e che lei
prende la pillola o si mette il diaframma,
so che questo è il paradiso

che ogni vecchio ha sognato per tutta la vita –
legami e gesti messi da parte
come una mietitrebbia arrugginita,
e ogni giovane che va giù per lo scivolo

di una felicità senza fine. Chissà
se qualcuno osservandomi, quarant’anni fa,
ha pensato: Quella sarà la vita;
non più Dio, non più sudore e paura la notte

per l’inferno e per tutto il resto, non più
il dovere di nascondere quello che pensi del prete.
Lui e quelli come lui tutti giù per lo scivolo
come maledetti uccelli liberi. E all’improvviso

non una parola viene, ma il pensiero di finestre alte:
il vetro che assorbe il sole,
e, al di là, l’aria azzurra e profonda, che non mostra
nulla, che non è da nessuna parte, che non ha fine.

SIA QUESTO IL VERSO

Mamma e papà ti fottono.
Magari non lo fanno apposta, ma lo fanno.
Ti riempiono di tutte le colpe che hanno
e ne aggiungono qualcuna in più, giusto per te.

Ma sono stati fottuti a loro volta
da imbecilli con cappello e cappotto all’antica,
che per metà del tempo facevano moine
e per l’altra metà si prendevano alla gola.

L’uomo passa all’uomo la pena.
Che si fa sempre più profonda, come un’insenatura.
Esci, dunque, prima che puoi
e non avere figli tuoi.

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Poesie di Emanuel Carnevali [1]  (Selezione a cura di Flavio Almerighi) 

Bugie colorate

Le case in lunga fila
hanno facce arse dal vento, rosse:
bare di immobile aria
lo guardo ottuso, idiota,
ammiccano al vento che soffia
un insulto gioioso sulle loro facce…
Vecchie zitelle 
che inghiottono con dignità il loro odio
guardando l’andatura provocante
di donne giovani, alte, con le gonne svolazzanti.
Hanno facce arse dal vento, rosse,
tentano con dignità
di sorridere
una bugia rossa
per un attimo
in lunga fila
mentre soffia il vento.
Gli uomini vestono in blu, nero e grigio,
i tre colori del cielo.
Odio, amore e bontà si accalcano
nello spazio di una giacca
abbottonata con grazia.
Il cielo guarderà giù
dolcemente
e chiederà a questi uomini come e perché:
e le minuscole, indaffarate cose
che stanno sotto una giacca
nasconderanno il loro disappunto
e strisceranno via
con i loro abiti blu, neri e grigi…
Bugia tricolore
per tradire l’innocente, grande cielo
che guarda gentile…
Oh, l’intrusione turberebbe
i petti degli uomini
che strisciano via
corazzati di bugie nere e blu e grigie.

Quand'è passato

Io pensavo fosse una lunga gita in barca
su un lago tranquillo: intorno i salici piangenti
lasciavano cadere nell’acqua le chiome, e fra quelle chiome,
i raggi che il sole andandosene, aveva dimenticato. Ma ora
che è passato, so che era un fiume travolgente e fragoroso,
che distruggeva tutto, tutto. Nell’anima non mi è restato che
un cespuglio, che oscilla e ondeggia al vento come i capelli di
una strega, che sibila, che maledice il vento come il braccio
spaventoso di una strega, ed è ricordo.

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