(Da "Il Commercialista Telematico" 4-1-2016)
Prima che entrasse in vigore il Decreto Legislativo n. 81/2015, sul riordino dei contratti di lavoro, attuativo del Jobs Act, era possibile stipulare, legittimamente, contratti di collaborazione privi del “progetto” con coloro che percepivano una pensione di vecchiaia. Con il Jobs Act le cose sono cambiate: le collaborazioni con pensionati sono ammissibili esclusivamente se non presentano gli
elementi distintivi della subordinazione.
La cancellazione del contratto a progetto ha portato anche ad una rivisitazione di tutte le ulteriori collaborazioni che sono state così disciplinate dagli articoli 2 (vedi nota n. 1) [1]e 52 (vedi nota n. 2) [2] del suddetto decreto. In particolare, è stata contemplata l’applicazione della disciplina prevista per i rapporti di lavoro subordinati a tutti i contratti di collaborazione, qualora la prestazione erogata dal
collaboratore venga svolta in modalità esclusivamente personale, continuativa e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi ed ai luoghi di lavoro.
Questa presunzione assoluta soggiace in tutti i contratti di collaborazione, tranne in quei contratti che, sempre la normativa, evidenzia in maniera esaustiva, quali:
- le collaborazioni disciplinate (trattamento economico e normativo) dai CCNL (stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale), in ragione delleparticolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
- le collaborazioni certificate dalle commissioni di certificazione, in base all'art. 76 del D.lg. n. 276/2003;
- le collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali;
- le attività rese da amministratori e sindaci di società e da partecipanti a collegi e commissioni;
- le collaborazioni rese in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate al C.O.N.I..
Le ultime tre tipologie (3 – 4 – 5) sono riprese, pari pari, dall’abrogato 3° comma, dell’articolo 61, del Decreto Legislativo 276/2003, con esclusione dei contratti di collaborazione con coloro che percepiscono una pensione di vecchiaia e che fino al 24 giugno 2015 potevano stipulare, legittimamente, contratti di collaborazione privi del “progetto”.
Dette collaborazioni erano state esentate, per l’appunto, dalla formulazione di un progetto ed erano considerate quasi esenti da eventuali controlli degli organi di vigilanza sulla loro genuinità, per il solo fatto che erano stipulati con pensionati che non potevano essere equiparati, a tutti gli effetti, a lavoratori “ordinari”. In realtà non era proprio così. La stessa Corte di Cassazione, in una recente sentenza (sentenza n. 4346 del 4 marzo 2015), aveva affermato come i rapporti di collaborazione effettuati con ex dipendenti, ora titolari di pensione, devono essere ricondotti nell’ambito dei rapporti di lavoro subordinato quand’anche l’attività lavorativa sia formalizzata per affiancare altri lavoratori neoassunti con funzioni di addestramento e formazione, ma che nello svolgimento pratico, la prestazione venga caratterizzata dalle medesime attività previste nel precedente rapporto
di lavoro subordinato, su cui si aggiungeva marginalmente la specifica di addestramento e formazione nei confronti dei lavoratori più giovani.
I giudici della Suprema Corte, in questa occasione hanno ribadito, ancora una volta, gli elementi distintivi della subordinazione che non devono essere presenti nelle collaborazioni, al fine di risultare esenti da eventuali disconoscimenti ispettivi. Questi sono: la continuità temporale delle prestazioni, il rispetto di un orario predeterminato, la corresponsione di una retribuzione fissa e prestabilita, l’assenza di rischio in capo al lavoratore ed il coordinamento dell’attività lavorativa con
l’assetto organizzativo datoriale, oltre – logicamente - agli elementi classici della subordinazione che sono il potere direttivo, organizzativo e disciplinare ed il controllo datoriale.
In definitiva, proprio prendendo spunto dalla sentenza suindicata, le collaborazioni con pensionati, siano essi di anzianità o di vecchiaia, sono ammissibili esclusivamente se non presentano questi indici e se rispettano le indicazioni che la legge e la prassi amministrativa hanno evidenziato essere fondamentali per questa tipologia contrattuale.
Far rientrare dalla finestra un lavoratore che è appena uscito dalla porta per il raggiungimento dell’età pensionabile e rimetterlo a sedere alla stessa scrivania o postazione nella quale ha operato per anni, con un contratto non subordinato, non è ammesso e come tale, in caso di verifica ispettiva o contenzioso con il lavoratore, si potrebbe incorrere in un disconoscimento del contratto stipulato
con tutte le conseguenze del caso.
Detto questo, nulla vieta che si possa stipulare un genuino rapporto di collaborazione (co.co.co.) con un pensionato di vecchiaia; l’importante è che l’attività lavorativa sia effettivamente idonea ad evidenziare quelle caratteristiche proprie dell’autonomia gestionale che sono alla base della collaborazione parasubordinata.
[1] 1. A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
2. La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento:a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;b) alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;c) alle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni; d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
3. Le parti possono richiedere alle commissioni di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, la certificazione dell’assenza dei requisiti di cui al comma 1. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
4. Fino al completo riordino della disciplina dell’utilizzo dei contratti di lavoro flessibile da parte delle pubbliche amministrazioni, la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione nei confronti delle medesime. Dal 1° gennaio 2017 è comunque fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare i contratti di collaborazione di cui al comma 1”-
[2] 1. Le disposizioni di cui agli articoli da 61 a 9-bis del decreto legislativo n. 276 del 2003 sono abrogate e continuano ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto.
- Resta salvo quanto disposto dall’articolo 409 del codice di procedura civile.